Il Piano Nobile

LA DECORAZIONE DEL SALONE DI PALAZZO MATTEI CAETANI

di Luciano Arcangeli

Il palazzo Mattei poi Caetani alle Botteghe Oscure, fatto erigere da Alessandro Mattei negli anni ’40 del Cinquecento, è la prima strutturazione compiutamente ‘palaziale’ tra le case dell’insula dei Mattei. All’interno di tale dimora il salone del piano nobile, fatto decorare dal cardinale Girolamo Mattei, figlio di Alessandro, costituisce non solo lo spazio più importante dal punto di vista delle dimensioni e della destinazione ad ambiente di rappresentanza, ma anche il punto d’arrivo della veste ornamentale tardo manieristica del palazzo. Primo intervento del cardinale all’interno del salone, a partire dall’autunno 1598, fu la costruzione del ricchissimo soffitto ligneo, la cui eccezionale qualità è stata sottolineata dal recente restauro: un’armoniosa intelaiatura progettata dallo scultore Pietro Paolo Olivieri in cui si inseriscono lacunari in rosso, azzurro e oro cosparsi dalle onnipresenti aquile araldiche dei Mattei; al centro, ad altorilievo, è lo stemma Mattei sorretto da due angeli e sormontato dal cappello cardinalizio. L’opera di decorazione pittorica del palazzo era iniziata ancora sotto Alessandro Mattei, che aveva chiamato a decorare alcuni ambienti Taddeo Zuccari coadiuvato dal più giovane fratello Federico alla fine degli anni ’50 del secolo; di questa decorazione ad affresco, in parte perduta , si conservano due sale con, classico e molto utilizzato esempio di parallelismo – non solo nel nome – tra personaggi della storia antica e committenti moderni, che da tale parallelismo ricevono luce e dignità riflessa.

Di tono differente è la decorazione del grande salone: proprietario del palazzo è adesso un principe del clero della Controriforma, che pure all’interno della propria dimora privata sente l’obbligo di puntellare il gioco ornamentale che corre lungo le pareti con allegorie e rimandi alla religione.

Non che sia un caso isolato: l’ultimo trentennio del Cinquecento vede un fiorire nei palazzi nobiliari non solo entro lo Stato pontificio di cicli decorativi che coniugano immagini profane o celebrative con temi e simbologie cristiane che ne forniscono una chiave di lettura in senso morale.

Ma quello che colpisce nel fregio del salone Mattei è l’asimmetria tra i due elementi, con la bilancia che pende decisamente verso l’evocazione edonistica del paesaggio e delle vedute marittime, restringendo le allegorie religiose allo spazio ristretto dei finti plinti architettonici che separano i riquadri che incorniciano i paesaggi, mentre quest’ultimi dilagano e acquistano ampiezza e un protagonismo fino ad allora inusitati in apparati ornamentali di tale genere. Già le scelte contrattuali che fa il cardinal Girolamo sono molto rivelatrici: il 21 maggio 1599 egli affida al fiammingo Paul Bril, cioè al più famoso pittore di paesaggi attivo a Roma nel tardo Cinquecento, la responsabilità dell’intero ciclo pittorico, delegando a lui la scelta dei pittori di figura da coinvolgere nell’impresa. Le condizioni poste dal cardinale sono molto precise: Bril dovrà presentare al committente i disegni preparatori del progetto decorativo; dovrà rispettare le dimensioni del fregio ( assolutamente eccezionali per l’altezza, circa 4 metri, che deve aver costituito una delle ragioni per la soluzione di un fregio sviluppato su due ordini sovrapposti); dovrà impegnarsi a sovrintendere a tutti i lavori, pur affidando le figure ad artisti da lui scelti che siano graditi al cardinale.

Se questi non sarà soddisfatto, Bril dovrà distruggere il fregio e rifarlo, senza nessun aumento di prezzo. Bril si impegna anche a “dipingere tutte le finestre che sono in essa sala di grotteschi, ò quello che sarà di più gusto, à esso s.r Card.le”. 1 Conosciamo quindi perfettamente il responsabile dell’opera, mentre nessun documento ci fa conoscere i nomi dei pittori che collaborarono con lui per le figure e per le grottesche. Inoltre, mentre è evidente l’uniformità stilistica dovuta a Paul Bril per tutti i paesaggi del fregio sulle pareti e anche per quelli, piccoli e mirabili, incastonati tra le grottesche degli imbotti delle finestre inferiori (rimasti praticamente sconosciuti fino all’attuale restauro, che ne ha rivelato l’eccezionale freschezza), è altrettanto evidente la disparità di stile – ed anche di qualità – tra le varie figure allegoriche e i sottostanti fregi con putti, chiaramente opera di molte mani diverse. Prima di esaminare più da vicino il ciclo decorativo del salone del palazzo, va fatta qualche considerazione sulla struttura formale come su quella dottrinaria che lo caratterizza. Girolamo Mattei era stato creato cardinale da Sisto V, il papa che più si era speso nel rinnovamento della città di Roma e della sua immagine: cinque anni furiosi di pontificato, dal 1585 al 1590, in cui papa Peretti aveva tracciato strade, innalzato obelischi, costruito chiese e palazzi riempiendoli all’inverosimile di cicli pittorici, in cui il lavoro di gruppo aveva raggiunto la sua massima applicazione. Tra le tante decorazioni, non potevano certo essere ignote a Girolamo, “carissimo” al papa, quelle che ornavano la villa della famiglia Peretti . L’edificio principale del complesso della villa (che occupava l’area dell’attuale stazione Termini e delle vie circostanti) era il Palazzo alle Terme, il cui fulcro era il grande salone sistino; esso era decorato da un fregio dipinto costituito da vedute paesistiche con le principali costruzioni fatte erigere da Sisto V e altri paesaggi allusivi ad altre opere compiute dal pontefice, intercalati da figure femminili assise rappresentanti allegorie religiose. La pubblicazione di un ritrovato album di fotografie che documentano la decorazione del Palazzo alle Terme prima della sua distruzione nel 1888 permette di conoscere la struttura del fregio del salone nella sua interezza (oggi parti staccate di esso sopravvivono in sedi diverse), ed è evidente come esso abbia costituito un modello per il fregio voluto da Girolamo Mattei . I simboli che accompagnavano le varie allegorie del salone del Palazzo alle Terme facevano parte dei programmi dottrinari sistini che in larga parte vediamo riutilizzati nel salone Mattei accanto ad altre figurazioni che avevano trovato diffusione nel più recente trattato di simbologia allegorica, di Cesare Ripa, pubblicato nel 1593. Se il fregio del salone sistino costituisce un indubbio precedente, il suo schema viene però molto amplificato e rielaborato nel fregio Mattei. Innanzitutto l’inquadratura architettonica dipinta assume un grande rilievo: nella parte superiore coppie di colonne tortili ed erme femminili di profilo sottolineano gli angoli tra le pareti; davanti alle inquadrature in finto marmo giallo antico che delimitano i paesaggi trovano posto, sedute o stanti, le varie figure allegoriche femminili. Al di sotto, la cornice aggettante su cui poggiano le figure è sostenuta da grandi mensole dipinte in prospettiva , tra le quali si aprono spazi illusivi poco profondi animati da giochi di putti, mentre gli angoli sono occupati da stemmi dipinti dei Mattei inquartati con quelli delle famiglie con cui si sono imparentati. La generale simmetria, sottilmente variata in ogni parete a seconda della presenza o meno di finestre, è animata dall’affollarsi di putti nella parte inferiore del fregio, che giocano, lottano o danzano. Si tratta di un’interessante rielaborazione che partendo dai rilievi con cortei di putti frequenti nella scultura romana intende darne una raffigurazione viva e presente. Accanto a riprese testuali di modelli classici come il corteo bacchico con il carro trainato da pantere o il gioco con arieti, vi sono curiose reinterpretazioni, come le teorie di fanciulline danzanti in costumi esotici; su tutte domina un senso ludico, uno humour sapido, che non vien meno neanche nei fregi delle pareti minori in cui fanno timido ingresso gli unici elementi riferiti al ruolo del committente, la mitria vescovile e il cappello cardinalizio contesi da putti in lotta tra di loro. La parete est, affacciante su Via Caetani, è quella che ha subìto maggiori rifacimenti ; essa ospitava originariamente un camino di dimensioni monumentali, che occupava l’intera parete tra le due finestre. In occasione dell’attuale restauro è stato rimesso in evidenza il profilo dello scasso effettuato in epoca imprecisata quando la mostra originale del camino fu rimossa: essa arrivava a lambire i piedi delle figure dipinte sopra il suo fastigio,la Prudenza a sinistra e la Fortezza a destra, mentre al centro nella cartella ovale sorretta da due angeli si trovava verosimilmente lo stemma in pietra del cardinal Girolamo: l’affresco a grisaille che vi si vede, con la Giustizia e la Pace, è stato chiaramente dipinto in un epoca successiva al resto delle pitture della sala volute dal cardinale, probabilmente nel secolo XVIII dopo che i Caetani erano subentrati agli antichi proprietari. Sempre ad un intervento Caetani, ma ancora più recente, è dovuta l’attuale mostra del camino di dimensioni ridotte; per avere un’idea di come probabilmente dovesse apparire la fronte originale ci si può basare sul camino tutt’oggi esistente che il fratello di Girolamo, Asdrubale Mattei, fece porre nel salone dell’adiacente Palazzo Mattei di Giove, con un coronamento a volute sormontato al centro dallo stemma, in quel caso in marmi colorati.

Si è detto della difformità stilistica delle figure femminili allegoriche che si intercalano ai paesaggi; mentre le due poste in piedi alle estremità del fregio della parete sud, la Castità col liocorno sulla destra e una donna che regge un ramo fiorito ed apre un libro con una chiave, identificata come Dignità, sulla sinistra, colpiscono per la libertà d’impaginazione e l’alto livello qualitativo, altre figure appaiono più deboli e convenzionali. A quali, tra gli artisti operanti a Roma in quella fine di secolo, possono essere accostate alcune di queste allegorie? Il fatto che ancora durante la decorazione del salone o immediatamente dopo la sua conclusione il cardinal Girolamo Mattei incaricasse Cristoforo Roncalli delle pitture della cappella e dell’anticappella poste allo stesso piano del palazzo (pitture pagate tra il gennaio e l’agosto del 1600) ha fatto ritenere che lo stesso Roncalli fosse presente tra i pittori delle allegorie del salone. Ma il suo stile non è riscontrabile in nessuna delle immagini femminili o dei putti, e ciò è prevedibile, se si pensa che il pittore toscano era indaffaratissimo nel 1599, intento a ultimare i lavori per il Giubileo del 1600, gli affreschi nel transetto della Basilica di San Giovanni in Laterano e i cartoni per i mosaici della Cappella Clementina nella Basilica di San Pietro. Un altro artista cui sono state attribuite alcune figure è il romano Paris Nogari, pittore a lungo partecipe nelle imprese decorative di gruppo a Roma dal pontificato di Gregorio XIII a quello di Clemente VIII, ma il cui percorso stilistico non è ancora perfettamente a fuoco. A lui, o perlomeno alla sua bottega, andrebbero avvicinate le due figure stanti nel fregio della parete ovest, la Conoscenza di Dio ovvero l’Ortodossia, con croce in mano e il drago dell’eresia ai suoi piedi, e la Sacra Scelta, recante un vaso contenente un fascio di verghe e un fiore di giglio. Più certa l’attribuzione dell’allegoria dell’Autorità, con spada in una mano e una corona nell’altra, posta al centro del fregio della parete sud: di essa è autore l’urbinate Antonio Viviani, e l’immagine mostra strettissime parentele stilistiche con le Sante e le Madonne dipinte dall’allievo di Barocci nelle pale d’altare per chiese di Urbino e di Pesaro. Tale sporadica presenza non deve stupire: Viviani lavora a Roma negli anni fra Cinquecento e Seicento sia come frescante in proprio, come negli affreschi superstiti del palazzo Sforza di Santafiora (poi inglobato in palazzo Barberini), che in opere collettive, come la decorazione recentemente recuperata di alcune sale del Quirinale risalenti al papato di Paolo V Borghese. Ma un’aria baroccesca circola anche in un paio di riquadri con giochi di putti, in alcune teste accostate ad altre molto diverse, a conferma dell’estrema suddivisione del lavoro all’interno del cantiere del salone di palazzo Mattei Caetani: pittori di paesaggio, di grottesche, di figure e di putti. Questo assicurava tempi veloci di esecuzione, ma rispondeva anche ad una concezione “polifonica” dello spazio da decorare. Nel giro di un anno e mezzo dal completamento del salone Mattei, l’apertura della Galleria Farnese affrescata da Annibale Carracci avrebbe mostrato una concezione organica e univoca pur nella complessità dei piani di decorazione, che inaugurava una nuova stagione dell’arte.

Il 21 maggio 1599, come attestano dettagliatamente i documenti, Paul Bril si impegnava a decorare le pareti del salone del palazzo del cardinale Girolamo Mattei, poi Caetani 1. Per quanto ne sappiamo riprendeva soltanto allora la decorazione del piano nobile nel quale quasi quarant’anni prima Taddeo Zuccari, pittore prediletto dalla famiglia, aveva dipinto per Alessandro Mattei alcune stanze. Restano gli affreschi delle volte di due stanze ed inoltre un Trionfo di Bacco della cerchia di Zuccari, forse di Giovanni De Vecchi.

Il fregio con paesaggi del salone Mattei di Bril è senza alcun dubbio una delle opere più importanti nella storia tardocinquecentesca del sistema decorativo sottosoffitto nei palazzi romani. Nello stesso tempo è da riconoscere come uno dei vertici a fine secolo del tipo di fregio con paesaggi che negli anni Ottanta e Novanta del secolo trova fortuna nelle residenze in città e in villa, come si vede nei palazzi Rucellai, Altemps, Paravicino (Besso) o a Villa Montalto. La saliente fortuna del paesaggio sia come sfondo di scene storiche, sacre o mitologiche, in cui acquista uno spazio sempre più ampio, che come tema autonomo si rileva anche negli edifici ecclesiastici, in particolare nella rappresentazione dei santi eremiti. Se negli anni Sessanta il cardinal Farnese aveva chiesto a Taddeo Zuccari di affrescare in una stanza del palazzo di Caprarola il tema della solitudine, di pagani e cristiani che avevano scelto una vita romita, alla fine del secolo il tema iconografico dei santi eremiti – diffuso anche dalle incisioni – trovava corrispondenza nella ardente ammirazione per quegli esempi della severa e tenace religiosità delle origini nei personaggi e nelle cerchie più avvertiti della necessità di riformare la Chiesa sull’esempio di quella delle origini.